PSICOLOGIA - KURT LEWIN (1890-1947)

Il primo autore che fa riferimento agli studi ‘sul’ e ‘di’ gruppo è Kurt Zadek Lewin il quale, indagando i diversi fenomeni di gruppo in termini sperimentali, è riuscito a definirne lo statuto socio-psicologico.

Lewin nasce in Germania, a Moglino e studia Psicologia a Berlino. Spinto dagli avvenimenti della Germania nazista, Lewin si interessò sempre più a tali dinamiche arrivando alla conclusione che il gruppo è un’entità diversa rispetto all’insieme dei singoli individui che lo compongono.

Il gruppo assume così la concezione di “totalità dinamica” le cui proprietà strutturali differiscono da quelle delle sue sotto parti: esso si caratterizza infatti per la stretta interdipendenza dei suoi membri, ed i loro rapporti reciproci determinano le proprietà strutturali del gruppo stesso.

La teoria di campo si basa su un modello tratto dalla fisica: il campo elettromagnetico di Maxwell (1860-70). Egli spiega che ogni persona è immersa in un campo di forze che agiscono simultaneamente, spingendola in direzioni diverse.

In psicologia ciò si traduce con:

- forze endogene: desideri, scopi, abilità della persona stessa;

- forze esogene: provengono dall’ambiente esterno, sociale.


per esercitare la propria influenza le forze sociali devono prima essere interpretate dalla persona

 

La conformazione del campo dipende dagli spostamenti (locomozioni) che sul piano psicologico la persona compie in base a:

- bisogni (motivazioni);

- valenze (direzione);

- forze (intensità).

Questa prospettiva comporta una definizione di gruppo sempre valida, indipendentemente dalla sua composizione, grandezza e finalizzazione.


Lewin basa la sua visione dell’individuo e del gruppo sul concetto di campo, metafora che eredita dalla Gestalt (per i gestaltisti, la mente non percepisce singoli stimoli, ma coglie l’insieme degli stimoli nel campo visivo), come insieme di elementi che costituiscono un’unità la quale è più della semplice somma delle singole parti.

Ogni elemento così come ogni comportamento non può essere letto o considerato senza prendere in esame il posto che occupa nel campo, in quanto è proprio all’interno di quest’ultimo che ciascun elemento acquista un significato nuovo.

Se consideriamo l’individuo, il suo campo psicologico include oltre a sé stesso tutto l’insieme dei fattori ambientali.

Nello specifico, secondo Lewin ci sono tre livelli da considerare:

- sociale e ambientale: livello all’interno del quale esistono tutti quegli elementi/persone/eventi che accadono al di là della volontà individuale (dimensione oggettiva);

- spazio di vita: livello in cui esistono le rappresentazioni psicologiche della vita (dimensione soggettiva);

- frontiera: luogo all’interno del quale le dimensioni precedenti si incontrano (confine tra oggettivo e soggettivo).

 

Lewin considera il mondo psicologico come un campo costituito da una totalità di fatti, coesistenti e reciprocamente interdipendenti: la persona (P) e l'ambiente (A). Persona e ambiente vanno visti come un solo campo, in cui l'individuo è modificato dall'ambiente e viceversa. 

Il comportamento (C) è funzione della persona e dell'ambiente:

C= f (P, A) 

Per Lewin, quindi, l'ambiente psicologico è l'insieme di oggetti, persone, attività, o anche situazioni presenti o future, con cui l'individuo è il rapporto in forma più o meno consapevole in un momento dato.

 

Un gruppo, per Lewin, è a sua volta un campo in cui gli individui si amalgamano per creare qualcosa di più grande, una totalità con caratteristiche proprie, qualitativamente diverse da quelle dei singoli individui.

L’obiettivo è quello di trovare un equilibrio tra il dentro e il fuori. Secondo Lewin, infatti, così come accade per l’individuo, anche il gruppo è in costante contatto con l’ambiente e cerca di trovare un equilibrio tra richieste interne ed esterne. Il gruppo si configura infatti come una realtà dinamica che si muove continuamente in quanto la staticità ne decreta la fine.


Esistono due tipi di interdipendenza che qualificano due tipologie di gruppo: del destino del compito. Entrambe creano dinamiche che incidono sulla produttività del gruppo e sul suo clima interno.

In questo primo caso il gruppo nasce e tiene al suo interno individui che condividono un’esperienza o una condizione esistenziale che li rende uniti perché hanno un destino comune.

Tale forma di interdipendenza costituisce un elemento macroscopico d’unificazione in quanto qualunque aggregato casuale d’individui può diventare gruppo se le circostanze ambientali attivano la sensazione di condividere la stessa sorte.

 

A tal proposito, si può citare un episodio noto alla letteratura scientifica e denominato “sindrome di Stoccolma”: nel 1973, quattro impiegati di una banca furono presi in ostaggio da due banditi per cinque giorni.

Tra i sequestrati ed i sequestratori s’instaurò una sorta d’atmosfera di gruppo così forte da non spezzarsi con la liberazione: infatti, i primi testimoniarono a favore dei secondi al processo, li andarono a trovare in carcere e si celebrò addirittura un matrimonio tra un’impiegata ed un bandito.

Tale accadimento ha una duplice interpretazione: per la psicologia clinica, esso deriva dall’attaccamento della vittima al carnefice, mentre, per l’approccio psicosociale, è un’esemplificazione estrema di come un insieme di persone possa costituirsi in un gruppo, sotto la spinta d’eventi stressanti e imprevedibili che generano la sensazione del comune destino.


Nel secondo caso il gruppo nasce perché deve portare a termine un obiettivo per cui è necessaria la collaborazione di molti.

Tale forma di interdipendenza costituisce un elemento più forte e diretto d’unificazione, perché lo scopo del gruppo determina tra i membri un rapporto di ripercussione circolare degli esiti. In altri termini, i risultati delle azioni di ciascuno hanno delle implicazioni sui risultati degli altri.

Tali implicazioni possono essere positive o negative. In tal caso, si parla di interdipendenza positiva (o collaborazione) quando il risultato positivo di un membro implica il successo del gruppo e di interdipendenza negativa (o competizione) quando la riuscita di un membro costituisce l’insuccesso di un altro o dell’intero gruppo.

Le teorizzazioni dell’autore sono state solo la base da cui si sono sviluppati ulteriori studi che hanno coinvolto numerosi altri ricercatori e impostato nuove prospettive chiave, come le riflessioni e le definizioni sullo status, sulla leadership o, ancora, sul potere del gruppo.

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