SOCIOLOGIA - ASPETTI DELLA SOCIETÀ MODERNA

Il lavoro nella nostra società organizza l'esistenza della maggior parte delle persone.
Negli ultimi due secoli il lavoro è stato al centro di un imponente processo di razionalizzazione.

Nella società moderna la sua divisione è di tipo processuale, cioè gli individui fanno cose diverse, ma le svolgono in maniera da cooperare tra loro.

Viene poi inserito in una struttura organizzativa più rigida e scomposto in operazioni elementari (catena di montaggio, taylorismo).

L'utilizzo di macchine sempre più efficienti porta alla scomparsa di qualunque margine di discrezionalità e libertà operativa del lavoratore.

 

Questo processo sollevò più di un aspetto problematico, evidenziati in particolare da Karl Marx (1818-1883).

Secondo Marx la divisione del lavoro era fonte disuguaglianza sociale: i lavoratori, disponendo unicamente della propria forza-lavoro, erano costretti a vendersi alle condizioni imposte dai capitalisti.

Nel lavoro moderno non devono avere spazio emozioni, sentimenti, idee personali... Gli operai non sono considerati in quanto persone ma alla stregua di ingranaggi e tutto ciò che è umano potrebbe "intralciare" il fluido svolgimento dell'attività produttiva.

 

L'operaio non è nemmeno padrone del prodotto del proprio lavoro, ma si sente estraniato e privato di esso. Condizione indicata con il concetto di alienazione, che indica la natura stessa della produzione capitalista.

Per la sociologia odierna l'alienazione è una condizione di impotenza e di isolamento, che gli individui sperimentano rispetto ai risultati delle proprie azioni, lavorative e non solo. La frammentazione del lavoro ha infatti invaso progressivamente occupazioni diverse dalla produzione industriale.

 

robot→ automatizzazione aumento della disoccupazione


Il processo di industrializzazione ha avuto un fortissimo impatto sulla struttura familiare.

La famiglia è per sua natura l'istituzione attraverso cui la società riproduce sé stessa

Nella società premoderna, dal punto di vista economico, appariva come un soggetto unitario. Con la nascita delle industrie è il singolo individuo il soggetto protagonista.

A lavorare in fabbrica furono soprattutto i maschi adulti, le donne (bianche) si dedicarono sempre più alla cosiddetta economia informale. Furono relegate all'ambiente domestico, che non costituiva più il principale mezzo di sussistenza, ma era lavoro non pagato che andava ad accentuare sempre di più una dipendenza economica delle donne e dei figli.

A ciò corrisponde il progressivo diffondersi della famiglia nucleare e il contrarsi della famiglia estesa.


Inizia a farsi strada quindi l'idea che la donna dovesse necessariamente rivestire un ruolo marginale nei processi produttivi e che fosse di conseguenza lecito attribuirle un minore riconoscimento economico (teoria doppio salario).

È nelle società industrializzate che si diffonde l'ideale della donna casalinga sensibile e sottomessa.

 

L'aumento della presenza delle donne nelle fabbriche inizia nella prima metà del Novecento.

Così come nei lavori impiegatizi, dove però è esclusa la possibilità di fare carriera, perché i ruoli dirigenziali vengono riservati agli uomini.

Dopo la Seconda guerra mondiale aumenta il tasso di attività delle donne, ma la maternità continua a rappresentare un ostacolo notevole al lavoro extradomestico.

La differenza fra salari maschili e femminili continua a riprodurre e potenziale le differenze sessuali sul mercato del lavoro.

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