ANTROPOLOGIA - SIGNIFICATI E FUNZIONI DELLA MAGIA DEL MITO

Dopo i progressi della scienza moderna, la magia viene considerata come un'ingenua credenza.

Per molto tempo però in Europa costituì la materia a cui si applicarono gli "antenati" medici, astronomi e chimici.

Lo studio della magia come "modo di pensare" cominciò sistematicamente nell'Ottocento, quando divenne evidente che molte credenze sparse per l'Europa erano abbastanza simili a quelle dei "primitivi".

ATTO MAGICO= azione compiuta da un soggetto allo scopo di esercitare un'influenza di qualche tipo su qualcuno o qualcosa.

 

James Frazer colse due modalità del pensiero magico:

- l'imitazione (si può influire sui comportamenti di chi si sta imitando);

- il contagio (se due cose entrano in contatto conservano la capacità di agire l'una sull'altra);

I primi antropologi interpretarono la magia come un "residuo" di epoche trascorse e credevano che ci fosse un legame stretto con la religione.

 


Bronislaw Malinowski distinse invece la magia sia da religione sia da scienza. 

- la scienza si trova nella sua forma elementare presso tutti i popoli;

- la religione fornisce certezze di fronte ai grandi problemi della vita comuni a tutti;

- la magia ha finalità rassicuranti verso azioni pratiche o tecniche, quindi viene definita come un mezzo usato dagli esseri umani di fronte a situazioni generatrici di ansia.

 

Si cerca quindi di influenzare il buon esito dell'impresa. La magia non è quindi anteriore a scienza e religione, ma un gesto primordiale, che afferma il desiderio dell'essere umano di controllare dei fini desiderati

 

Ernesto de Martino credeva alla magia come a un residuo arcaico ancorato al bisogno dell'essere umano di affermare la propria presenza di fronte all'idea della morte.

 

MALOCCHIO= l'idea che uno sguardo insistente o certe parole possano influire negativamente su cose o persone, particolarmente diffusa in Europa e Medio Oriente.

ammirare→ invidiare

 

Esiste anche la credenza che certi atti, soprattutto involontari, portino sfortuna dai quali per proteggersi bisogna ricorrere a gesti o formule precise.

Il tutto forma un complesso di credenze che:

- sottolinea la precarietà dell'equilibrio umano;

- fa fronte a questa precarietà con risposte rassicuranti.

 

Nel 1935, un gruppo di ricercatori francesi iniziò a studiare una popolazione maliana, i Dogon.


Marcel Griaule (1898-1856), fu un antropologo francese, alla guida della spedizione, che fu in grado di ricostruire quella che lui chiamò la cosmologia Dogon.

La loro scienza riposava su storie che raccontavano su come si era formata la Terra, come erano nati i fiumi, gli animali, le piante e gli esseri umani.

Come tutte le cosmologie, conteneva quindi i miti della creazione.



MITI= fanno riferimento a eventi primordiali che avrebbero dato origine al mondo e all'aspetto che quest'ultimo possiede attualmente. Può trattarsi di cosmologie o teogonie.

Il mito presenta alcune caratteristiche peculiari:

- ignora spazio e tempo;

- annulla le differenze tra mondo sensibile e invisibile;

- propone una situazione originaria caratterizzata dall'unità tra cose e persone (il mondo viene rappresentato come il risultato di un processo di separazioni e allontanamenti).


 

Questa rottura dell'equilibrio originario è spesso raffigurata come il frutto dell'azione di un personaggio particolare.

Nella lettura antropologica prende il nome di trickster ("imbroglione"). Incorpora caratteri opposti e contraddittori e si presenta sotto forma di animale dai tratti umani.

Con i suoi comportamenti immorali il trickster plasma la realtà così come gli uomini la conoscono.


In linea generale, il mito tende a produrre una antropomorfizzazione della natura: attribuisce caratteristiche fondamentalmente umane ad animali, piante e cose.


Le funzioni del mito sono molte: spiegare le origini del mondo, giustificare le condizioni sociali, fissare certi comportamenti.



Claude Lévi Strauss diede una diversa interpretazione del mito: come un'attività speculativa, senza prendere in considerazione i legami che il racconto mitico può avere con la vita sociale e culturale di una popolazione.

Analizza il mito in termini di "strutture", come un'unità formalmente scomponibile in unità minime, in mitemi (ciascuno dei nuclei narrativi che si possono evidenziare all'interno del mito).

Prende quindi significati diversi in base alle culture e ai mitemi che si trova affianco.

 

Per Lévi Strauss il racconto mitico è un ambito speculativo in cui il pensiero umano non soffre le costrizioni della realtà materiale e sociale, essendo libero di pensare ciò che non può esistere realmente. 

In questo modo ha la funzione di conciliare gli aspetti contraddittori dell'esistenza umana e del mondo naturale che non possono essere mediati da alcuna forma di pensiero razionale.

Le mediazioni non sono dirette, ma si presentano sotto forma di personaggi, azioni o contesti. Il pensiero mitico appare come libero, elabora e intreccia i simboli. Il mito è allora il prodotto di un "pensiero che pensa se stesso".

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